Negate le radici più profonde della storia

L’ITALIA DICA NO ALL’UNESCO

Usa, Germania, Gran Bretagna, Lituania, Estonia, Olanda hanno votato “no” alla risoluzione con cui L'Unesco ha fatto sapere di non riconoscere il diritto israeliano ai suoi luoghi sacri. La risoluzione su Gerusalemme proposta dai paesi arabi Algeria, Egitto, Libano, Marocco, Oman, Qatar più il Sudan non si accontentava di denunciare la presunta occupazione della Palestina e di criticare la gestione israeliana dei luoghi santi nella Città Vecchia di Gerusalemme. Semplicemente li assimila come arabi, ignorando di citare il loro nome ebraico. Con un tratto di penna, Il monte del Tempio, che comprende il muro del pianto è diventato un sito arabo. Sostenere, come si legge, che "Israele non ha connessioni con il Monte del Tempio e il Muro del Pianto” significa voler negare la storia nelle sue radici più profonde, e con essa le tradizioni religiose ebraiche, così come c’è chi impunemente nega l’olocausto.

L’Unesco ha dato altre volte prova del suo valore accettando risoluzioni in cui i Paesi arabi condannano Israele, ma in questo caso l’organizzazione si è spinta molto oltre. Il bello, o il tragico, è che la stessa direttrice generale dell’Agenzia, Irina Bokova, ha preso le distanze dalla risoluzione approvata, sottolineando il diritto di Israele al riconoscimento esplicito della propria storia e al rapporto con la città di Gerusalemme. E ci mancherebbe solo. Ciononostante, la maggioranza dgli Stati membri è rimasta indifferente e il testo non è cambiato di una virgola. L’Italia che si è astenuta, ha sbagliato e ha sbagliato gravemente. Avrebbe fatto bene ad allinearsi ai suoi amici americani e tedeschi. Evidentemente c’è un rifesso incondizionato della nostra politica estera che viene dagli anni ’70 del secolo scorso e che il governo ancora nonostante le grandi manifestazioni di amicizia con gli Usa non ha saputo superare, un riflesso che ci fa equidistanti nello scontro che si consuma in medio oriente, simpatizzanti per i poveri palestinesi. Un atteggiamento che non ci possiamo più permettere soprattutto se vogliamo essere fra i principali partner continentali degli Stati Uniti d’America, e gli amici fraterni di Israele.

Roma, 19 ottobre 2016